Settantacinque anni fa infatti, i soldati della Germania nazista che occupavano Roma rastrellarono 335 italiani (civili, ebrei e militari) e li fucilarono in una cava presso l’antica via Ardeatina, appena fuori dalla capitale.
Il fascismo era caduto, ma Mussolini – prima arrestato e poi liberato dai tedeschi – aveva formato un nuovo governo nel Centro- Nord Italia, la cosiddetta Repubblica di Salò che altro non era che una marionetta nelle mani di Hitler.
Dopo l’armistizio dell’8 settembre, l’esercito nazista calò fino a Roma per occupare il Paese e contrastare l’avanzata delle truppe anglo-americane. In questa situazione
Primi testimoni l’orrore nazista furono un gruppo di frati salesiani che, udito per tutto il giorno i rumori dell’esecuzione, s’intrufolarono di notte nella cava per vedere cosa fosse successo.
Per la sua efferatezza, l’alto numero di vittime e per le tragiche circostanze che portarono al suo compimento, l’eccidio delle Fosse Ardeatine divenne l’evento-simbolo della durezza dell’occupazione tedesca di Roma. Fu anche la maggiore strage di ebrei compiuta sul territorio italiano durante l’Olocausto; almeno 75 delle vittime erano in stato di arresto per motivi razziali.[2][3]
Le Fosse Ardeatine, antiche cave di pozzolana situate nei pressi della via Ardeatina, scelte quale luogo dell’esecuzione e per occultare i cadaveri degli uccisi, nel dopoguerra sono state trasformate in un sacrario-monumento nazionale. Sono oggi visitabili e luogo di cerimonie pubbliche in memoria.
Ora nel luogo dell’eccidi sorge un monumento a imperitura memoria delle vittime innocenti che quel giorno persero la vita sotto i colpi di un nemico crudele e senza pietà.