La casa di Don Pappagallo
Giunto a Roma nel 1925 era stato vice parroco della basilica di San Giovanni in Laterano, oltre che “padre spirituale” delle Oblate di via Urbana. Don Pietro visse quasi vent’anni a Roma, quinto di otto fratelli e orginario di Terlizzi in provincia di Bari. Sin dal 1925 quando arrivò nella capitale per la prima volta, si mise a servizio degli ultimi, in particolare degli operai e dei lavoratori sfruttati e in condizioni di miseria. La sua casa di Via Urbana 2 diventò un punto di riferimento per quanti avessero bisogno di un sostegno economico, di indumenti, di cibo o di documenti, e così accadde anche durante l’occupazione tedesca quando don Pietro si impegnò con zelo a fornire aiuto a soldati, partigiani, alleati, ebrei, “indiscriminatamente”
Come sottolinea la motivazione della decorazione al merito civile (che, nel 1999, gli ha attribuito il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi), “…durante l’occupazione tedesca collaborò intensamente alla lotta clandestina e si prodigò in soccorso di ebrei, soldati sbandati, antifascisti ed Alleati in fuga, dando loro aiuto per nascondersi e rifocillarsi.. ”Grazie alla tipografia di un suo cugino”- racconta Georges de Canino della comunità ebraica romana – “iniziò a stampare documenti falsi per quanti rischiavano di finire nelle mani dei nazifascisti”.
Il 29 Gennaio 1944, tradito da Gino Crescentini, una spia che finge di essere un fuggiasco, Don Pietro Pappagallo viene arrestato e condotto al carcere di via Tasso. Soprannominato il corvo, sottoposto a tortura e ad ogni sorta di umiliazione dai soldati tedeschi, trascorre i suoi ultimi mesi di vita nella cella numero 13, dove incontra anche un ex operaio della Viscosa, Tigrino Sabatini partigiano di Bandiera Rossa arrestato una settimana prima di lui
Durante la sua terribile prigionia a Via Tasso, don Pietro “fu modello di speranza eroica, di carità inaudita per i suoi compagni, che lo raccontarono quando furono liberi”. Li invitava a pregare, a “invocare Maria”: don Pietro “accettò eroicamente il martirio per accompagnare all’incontro con Dio i suoi 334 compagni che alle Fosse Ardeatine benedisse prima di essere condotto a morte e prima di chiedere a Dio il “perdono per i suoi carnefici”.
Dalla vicenda del sacerdote pugliese aveva tratto spunto, nell’immediato dopoguerra, Roberto Rossellini che, nel girare Roma, Città aperta aveva fatto interpretare ad Aldo Fabrizi il ruolo di don Pappagallo.
A Roma al valoroso sacerdote è intitolata una Sezione dell’ANPI; sulla casa di via Urbana, dove aveva abitato, lo ricorda una lapide. Nel 2000, Giovanni Paolo II ha fatto includere il nome di don Pietro tra quelli dei martiri della Chiesa del XX secolo.
Unico sacerdote fra le 335 vittime dell’eccidio nazista delle Fosse Ardeatine del 24 marzo del 1944, il sacerdote di Terlizzi don Pietro Pappagallo ha ottenuto a Gerusalemme il riconoscimento del coraggio e della dedizione con cui ha sottratto alla morte tanti ebrei, oltre che soldati e antifascisti